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Laura Canali
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Pietre e Miraggi

Pietre e Miraggi, la mia mostra personale alla Fondazione Marco Besso

Fino al 28 ottobre potete visitare la mostra “Pietre e Miraggi”, al Palazzo Strozzi-Besso di Largo di Torre Argentina. Oltre 40 opere esposte, che dalla geopolitica alla poesia provano a raccontare il mondo.

Pietre e Miraggi è stata inaugurata qualche giorno fa, ma io continuo ad emozionarmi durante le visite guidate che organizza la Fondazione. Mi emoziona vedere i miei lavori, esposti nelle splendide sale del Palazzo Strozzi-Besso, sembra che si animino e che ad ogni sguardo mi ricordino il lavoro, la passione e la dedizione che ha richiesto ognuna delle opere. Quanta storia. Quanta vita. 

All’inaugurazione c’erano vecchio e nuovi amici, ad ascoltare le mappe e ad immaginare i testi dietro le geopoesie. È stata un successo e di questo ringrazio che c’era, e chi avrà voglia fino al 28 ottobre di visitare Pietre e Miraggi e la bellissima Fondazione Marco Besso.

La mostra è aperta dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 16.30. L’ingresso è gratuito, basta riservare l’accesso scrivendo a prenotazioni@fondazionemarcobesso.net

Pietre e Miraggi

DI LAURA CANALI

Pietre e miraggi. Queste sono le parole giuste per la mia città, Roma. Camminare sulle pietre di Roma, moderne e passate, non è solo un’azione ma è anche una magia. La città sembra accoglierti nel palmo della sua mano, ti solleva da terra, e così cominci ad avvertire la Dea Roma e il suo tempo che non è solo il tempo presente ma è il tempo di sempre. 

La Dea Roma ci tollera. Noi semplici esseri umani che la abitiamo, sempre tenacemente inadeguati.

In alcuni momenti della giornata la Dea ci lancia delle sfere colorate con il fuoco che virano dall’arancio al bluette passando prima da una lieve sfumatura di rosa. Guardo stupefatta da quando sono nata questi colori incredibili e non mi abituo mai. I colori caldi e accecanti rimbalzano sui palazzi che finiscono per specchiarsi dentro le fontane. Ma prima del tuffo in acqua, i palazzi, hanno assorbito il colore, sembrano vivi. 

Le pietre diventano miraggi di luce ma sono anche dei passaggi nel tempo. Si aprono squarci e ti sembra di sentire le voci di chi c’era prima di te e subito ti viene l’invidia per chi ci sarà dopo di te perchè quelle pietre ci saranno ancora ma noi non più. Il tempo ci avrà inglobato nella nostra città, faremo parte dei sussurri e dei miraggi. Faremo parte di un tutt’uno che pulsa e vive ogni giorno dentro questi lampi di luce che non è fatta di sola luce.

Geopoesia e geopolitica

La mia vita è dentro una mappa da quando ero una bambina. I miei sogni erano quelli della maggior parte delle persone. Volevo viaggiare e per sognare di farlo aprivo un Atlante e osservavo le mappe. Mi affascinava il verde intenso della Penisola scandinava. Passavo il dito su tutti quei nomi particolari e osservavo i laghi, sempre tanti, soprattutto in Finlandia. Sognavo di essere immersa in quel monotono verde dove immaginavo una vita semplice nella natura incontaminata. Quando sono passata alla fase adolescenziale ho potuto studiare molta geografia, sono passata da quella astronomica a quella economica e prima quella fisica. Se mi guardo alle spalle mi sembra come se ci fosse stato un destino già ben delineato per me verso quello che poi è diventato il mio lavoro, essere una cartografa.

Il 1993 è stato un anno cruciale per la mia vita. È l’anno della nascita di Limes, la rivista italiana di geopolitica. Lavoravo dal 1987 e in quegli anni frequentavo una scuola d’arte nel centro di Roma. Ero esperta in disegno vettoriale e la rivista Limes cercava un grafico esperto in quel tipo di disegno. Eravamo in pochissimi a saperlo fare. Era avanguardia pura. Era ed è una tecnica di disegno a mano libera ma attraverso un software di computer. Il computer era un Macintosh arrivato da pochi anni sul mercato italiano.

Grazie a questa mia specializzazione ho potuto entrare nella redazione. Dal secondo volume di Limes quasi tutte le mappe le ho disegnate io. Dico quasi perchè ho avuto due collaboratrici, Francesca La Barbera e Francesca Canali. Due grandi professioniste.

Ma tornando alla rivista Limes, ricordo benissimo la mia prima mappa ed era il Senegal. Dovevo evidenziare una regione del sud, la Casamance. Dentro il Senegal c’è un altro Stato, il Gambia che occupa una striscia di terra attorno al fiume omonimo. Pochi elementi che mi hanno subito stregato. Pochi elementi ma molto significativi. Il Senegal ingloba il Gambia, la regione che interessa un autore di Limes ha un nome francese, appunto Casamance. Guardando la mappa dell’Atlante si capisce subito che c’è qualcosa di storico che ha generato questa matrioska geografica. Questa è la magia del mio lavoro. L’ho percepita subito. Ho capito che non mi sarei annoiata mai. Avrei potuto rinnovarmi ad ogni disegno, bastava seguire la geografia e non ignorare i punti interrogativi che faceva nascere. Così ho scelto di essere un trait d’union tra Limes e i suoi lettori. Ho cercato di incuriosire e di evidenziare attraverso le mie mappe, le chiavi di accesso di un territorio. I luoghi del mondo, macro o micro, hanno tutti una calamita, un centro, un motivo, un qualcosa che necessita uno scavo per comprendere. Lo scavo può essere di varia natura, può essere politico, storico, fisico o scientifico. Ma c’è sempre. La mappa sembra piatta ma ha una dimensione verticale. 

Nelle mappe geopolitiche spesso è la storia, cioè il passato del luogo che genera la profondità. I fatti di oggi sono spesso legati ai fatti di ieri. La composizione etnica di uno Stato, per esempio, lascia trapelare che i confini di quel determinato paese precedentemente non erano così come ora. Ragionando su questa linea si comincia subito a percepire la sofferenza dei popoli o la loro tenacia nella conquista di un determinato territorio. I fiumi per esempio: sono confini naturali, riserve strategiche di acqua, connettori di importanti commerci con gli oceani. Ogni elemento di una mappa può diventare un viaggio nel tempo e si può viaggiare in orizzontale e in verticale.

Riprendiamo per un momento il viaggio in orizzontale, quindi camminiamo nel nostro tempo sulla crosta terrestre. Incontriamo gli eventi di oggi, li possiamo osservare, analizzare, cercare di capire, è un modo per guardare dritto negli occhi il mondo e tutti i suoi problemi. Ma è difficile farlo tutti i giorni e non potersi voltare mai dall’altra parte per dimenticare un momento i ghiacci che si sciolgono, l’inquinamento, la scarsità di acqua, le guerre e le prepotenze. Serve una via di fuga, un punto di vista diverso. Servono i sentimenti umani, serve curarli e tenerli stretti dentro. Saranno quelli che ci porteranno a lottare per migliorare questa Terra. È sempre un tutt’uno, il nostro mondo è un’amalgama di pietre e miraggi. Le pietre sono la concretezza della realtà e i miraggi la capacità umana dei voli pindarici, delle invenzioni dello studio e soprattutto dei sentimenti.

Da tutto questo è nata la geopoesia. La geopoesia è nata dalla geopolitica. Senza geopolitica non esisterebbe la geopoesia. Il concreto e il sentimento s’incontrano lì. In uno spazio temporale unico che ha le coordinate del punto dove il cammino orizzontale s’incontra con quello verticale.

“A tu per tu, il gelo in volto io fisso:

lui fissa il nulla, e io fisso dal nulla;

stirata, pieghettata senza grinze,

respirante miracolo, pianura.

E in povertà bianco-umido, il sole strizza gli occhi –

il suo strizzare è tranquillo, placato.

Foreste a dieci cifre: simili a quelle… E crocchia

  pane fresco – la neve dentro il mio sguardo, intatta.”

(16 gennaio 1937, Osip Mandel’štam)

Le opere in esposizione, copyright delle foto di Antonio Ragazzi, che ancora una volta ringrazio

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